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Come valutare la collaborazione dell’auditor con il CdA/consiglio di vigilanza delle società?

8 maggio 2017

Come valutare la collaborazione dell’auditor con il CdA/consiglio di vigilanza delle società?

Piotr STASZKIEWICZ
revisore contabile, Audit Partner presso RSM Poland

Magari andrò un po’ controcorrente, ma vorrei rivolgere la mia attenzione non tanto alla valutazione positiva o meno della collaborazione dell’auditor con la dirigenza o il consiglio di vigilanza del soggetto preso in esame ma piuttosto in base a quali criteri andrebbe valutata tale collaborazione. Nonostante la forma di cooperazione tra auditor e CdA  e tra auditor e consiglio di vigilanza sia diversa, l’obiettivo permane lo stesso: il valore aggiunto in senso ampio che l’auditor può dare alla controparte. Ed è proprio in questo senso che va valutata la collaborazione dell’auditor con il CdA e il consiglio di vigilanza.

Dal momento che il CdA svolge una propria funzione di agente e viene nominato per conto dei proprietari per la conduzione dell’attività, l’auditor verrà invece nominato al fine di determinare se il rendiconto finanziario stilato dal suddetto CdA non presenta irregolarità rilevanti, pertanto la collaborazione auditor-CdA verrà valutata diversamente (mediante un’altra tipologia di valore aggiunto) che quella tra auditor e consiglio di vigilanza (comitati dell’audit).

Le aspettative dei CdA nei confronti dell’auditor riguardano in particolare talune questioni quali l’individuazione degli errori commessi da parte degli addetti alla rendicontazione, l’identificazione dei rischi fiscali e il miglioramento dei processi organizzativi. Si tratta pertanto di auspici che in un certo senso vanno al di là del classico audit e l’auditor non può essere ritenuto responsabile per il fatto che, nonostante il rispetto dei dovuti principi, del giudizio e scetticismo professionale, l’unità si veda costretta a versare, successivamente a un controllo fiscale, un importo aggiuntivo dell’imposta sul reddito.

Le aspettative dei consigli di vigilanza e dei comitati di audit possono invece interessare ambiti quali le informazioni sulle truffe, i rischi correlati alla mancanza di trasparenza da parte del CdA, il rischio going concern, la scarsità di controlli interni, evidenti irregolarità del rendiconto finanziario e i rischi a esso associati aventi un impatto sui proprietari e sulle parti interessate.

Ciò mostra come gli auditor si trovino sovente tra la falce e il martello: da una parte devono svolgere il proprio incarico, ovvero rilasciare un parere avvalorante il fatto che non sussistono questioni di interesse per il consiglio di vigilanza e i comitati di audit; dall’altra devono collaborare a livello operativo con il CdA, con le sue aspettative, sovente non in linea con quelle del proprietario. Inoltre tutta l’attività dell’auditor deve essere realizzata conformemente alle regole dell’arte per soddisfare le indicazioni della metodologia di audit e le aspettative degli organi di vigilanza nei confronti dei revisori dei conti.

Al contempo risulta fondamentale la comprensione da parte del CdA e dal consiglio di vigilanza dell’obiettivo dell’audit. Va pertanto trovato un punto di unione tra le aspettative reciproche nell’ambito di uno scambio trilaterale di idee prima dell’incarico e non successivamente. In tal modo sarà più semplice per il CdA, per i consigli di vigilanza/comitati di audit determinare le aspettative nei confronti dell’auditor e valutare in maniera costruttiva la successiva collaborazione in base a ciò che l’auditor può e dovrebbe dare alla controparte. A mio modo di vedere si dovrebbe porre maggiormente l’accento su una discussione proficua tra le parti, in tal modo il miglioramento dell’audit e della collaborazione tra CdA-auditor e consiglio di vigilanza – auditor sarà solo una questione di tempo.

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